Greetings from Asbury Park, N.J.e The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle erano ormai usciti da due anni (1973), per tutto il 1974 Bruce Springsteen & the E Street Band passarono la stagione sul palco. Il 9 maggio 1974, a Cambridge nel Massachusetts, durante un concerto di Bonnie Raitt, in cui Springsteen e la sua band facevano da gruppo spalla, il pubblico richiamò a gran voce il Boss per esibirsi di nuovo. Ad assistere a quel concerto c’era il critico della rivista Rolling Stone, Jon Landau, che su The Real Paper di Boston, culminò la sua recensione con una frase che farà la fortuna di Bruce: «Ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen». Nel frattempo, la band stava lavorando sul terzo album, Born To Run, uscito dopo 18 mesi di gestazione, ma che regalò al Boss la definitiva consacrazione. In questo periodo si incastrano le registrazioni di ‘The Way It Was’ The Complete Bottom Line Broadcast.
L’EMOCENSIONE | The Decemberists – The Tain (2004)
22 MarArtista/Gruppo: The Decemberists
Titolo: The Tain
Anno: 2004
Etichetta: Kill Rock Stars
Mi accade sempre con più frequenza di imbattermi in gruppi che si rifanno ad antichi testi. E se con i Popol Vuh eravamo al testo sacro dei Maya, stavolta, con i Decemberists ci troviamo di fronte a un racconto epico: Táin Bó Cúailnge (La razzia di vacche di Cooley). Il disco è senza titoli ma solo numeri romani, sei tracce legate in un solo brano di 18 minuti. The Taìn, che è una leggenda epica di origine irlandese, risalente alla notte dei tempi (I secolo a.C.), di cui restano solo due codici che affondano le loro radici al XII secolo.
Traendo spunto dal Taìn, i Decemberists – band statunitense affine al panorama Alternative/Indie Rock – costruirono il loro secondo Ep dopo 5 Songs: The Tain, appunto. E se Callimaco propugnava il concetto di “brevitas” in prosa, meglio non potevano fare i cinque “decabristi” di Portland. Diciotto minuti per raccontare la saga del toro Finnbhennach, che, emigrato dalla mandria della regina Medb a quella del re Ailill, dà vita a una guerra infinita e sanguinosa tra il Connacht e l’Ulster, difeso da un unico eroe, il diciassettenne Cúchulainn.
Le prime note basse di chitarra acustica sono il passo del toro che attraversa il recinto, il cantore allora illustra i temi principali della storia agli uditori, dall’alto di un masso, tra praterie verdi, e grattacieli. I personaggi sono accovacciati in una grotta, al caldo, avvolti in una feticcia sensualità: «She’s a salty little pisser with your cock in her kisser». Notizia shock, cambia tutto. Ma come? E l’epica, la poesia? Beh, gli antichi sapevano usare parolacce e offese meglio di quanto facciamo noi oggi. Dunque si entra nella fase II, l’urlo delle chitarre di Funk e Meloy di ledzeppeliana memoria (anche se non lo ammetteranno mai, si fanno grossi millantando influenze da gruppi impronunciabili…), subentra l’anacronismo americano, esce fuori anche Carlo Magno e l’M-5 (la metropolitana di Milano? Il missile francese? Bah).
Dead Combo – Dead Combo (2004)
20 MarDue ragazzi finlandesi, due chitarre distorte che sembrano tastiere, il resto è un techo-electro punk di piacevole ascolto e già con un discreto impianto stereo lo si può gustare nelle sue molteplici sfaccettature. Dal chiaro stampo drum’n’bass, al dance, fino a lambire il rock’n’roll. In questo loro primo lavoro, i Dead Combo offrono anche due tracce registrate live, la prima, una cover di Let’s dance di David Bowie, la seconda, farina del loro sacco ma sempre su quella lunghezza d’onda, la bellissima Splinters.
Album che a scapito del tutto-nero che caratterizza la sua copertina, suona a tratti lieve e melodico, allegro e frizzante. Da ascoltare in tutte le ore del giorno, meno che la notte, se non volete che il vostro vicino vi ghigliottini a passo di danza.
AA.VV. – 50 anni di Rock. Volume 7 Dal Beat al Rock (2004)
24 DicNel 2004 il Gruppo L’Espresso-La Repubblica pubblicava una serie di 17 cd (gli ultimi due dedicati al rock italiano e alle sue contaminazioni) intitolata 50 Anni di Rock, volta a festeggiare il mezzo secolo di vita di un genere musicale che ha rivoluzionato rapporti sociali e mentalità dell’intero pianeta.
Concepito da Ernesto Assante e Gino Castaldo, difficile capire se il progetto prenda come data cardine della nascita del rock il 1963, data del primo disco dei Beatles, oppure il ’64 con i Rolling Stones e i Kinks, o ancora il 1962, anno d’esordio dei Beach Boys. Non importa, sta di fatto che il disco che consiglio oggi, il Volume 7 – Dal Beat al Rock è uno dei meglio riusciti dell’intera serie e ci spiega il passaggio dal sound Beatles-primi Beach Boys a quello più evoluto ma comunque sempre delicato di Bob Dylan in America, di Kinks, Who e Traffic in Inghilterra. Interessante anche per piacevoli scoperte, per quanto mi riguarda Rod Stewart in Maggie May e un suono di chitarra mai udito prima in Madame George di Van Morrison.
Eric Clapton – Me And Mr Johnson (2004)
8 DicArtista/Gruppo: Eric Clapton
Titolo: Me And Mr Johnson
Anno: 2004
Etichetta: Reprise
Non basterebbero dieci articoli per spiegare quello che Robert Johnson ha dato alla musica moderna, ha ispirato innumerevoli gruppi rock, tutta un’ondata di musicisti, inglesi e americani, che sul solco da lui tracciato hanno fatto sì che oggi si possa parlare in termini di rock. Eric Clapton è stato tra i primi della seconda schiera successiva ai vari Buddy Guy, Howlin’ Wolf, T-Bone Walker, ecc. Ai tempi dei Cream lo ha spesso citato, ancor di più vi si è cimentato quando, come nel caso di Crossroads, ha fornito lui stesso, assieme a Jack Bruce e Ginger Baker, uno spaccato riproposto in chiave decisamente più moderna e accattivante. E se molti di questi musicisti sono diventati milionari è anche grazie alla via tracciata da questo avo nero del Delta.
Ora, spiegare le sensazioni che si provano quando nel lettore si incanala il cd Me and Mr Johnson di Eric Clapton, non è cosa da poco. Innanzitutto per il fatto che ogni qualvolta mi trovo di fronte a una cover assumo molteplici punti di vista, non tutti accondiscendenti. Secondo perché, pur apprezzando il progetto, nel momento stesso in cui un artista, seppur affermato e blasonato come Clapton, e che stimo e adoro, presenta un prodotto non concepito direttamente dalla sua testa, mi aspetto anche un plus che ne giustifichi le motivazioni.
Con questo disco Clapton opera due tagli, il primo che ci riporta indietro di 70 anni, ai tempi in cui Johnson tornava dal suo “anno X” passato nell’anonimato, dopo il «patto col diavolo», quell’anno 1930 che segnò la svolta epocale della musica popolare del Novecento. Il secondo taglio, più breve e recente, ma non meno affascinante, ci riporta indietro di 40 anni, quando la new wave britannica iniziava a divertirsi con i brani blues dei suoi padri e la folla impazziva per quelle nuove sonorità fino ad allora ignorate.
Ayreon – The Human Equation (2004)
8 NovSe avete oltre un’ora e mezza a disposizione, voglia tanta di sapere che fine farà Me e soprattutto una passione sfrenata per i concept album, questo disco allora fa il caso vostro. Concepito dal polistrumentista olandese Arjen Anthony Lucassen (Ayreon è il nome del progetto), che qui suona praticamente tutto ciò che di elettrico (ed elettronico) c’è da suonare, The Human Equation vanta, oltre a suoni bellissimi (a scapito di un’assenza quasi totale di virtuosismi strumentistici), anche una serie di collaborazioni di spicco.
Tra gli artisti che interpretano i vari personaggi di questa rock opera che tuttavia assume le sfumature di un vero musical, ci sono anche James LaBrie (Dream Theater), Mikael Åkerfeldt (Opeth), Heather Findlay (Mostly Autumn). In un paio di brani troviamo anche Ken Hensley (Uriah Heep) e Oliver Wakeman, figlio del celebre pianista Rick.
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