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The Doors – The End

31 Mar

…le parole di Paul Rotchild all’ingegnere del suono quando per la prima volta ascoltò la versione definitiva di “The End” dei Doors. A circa sei minuti dall’inizio del brano il produttore disse: «Ti rendi conto cosa sta succedendo? Questo è uno dei momenti più importanti della storia del rock». Quando tutto fu finito riferì che aveva la pelle d’oca su tutto il corpo. A me viene ogni volta che la sento…

L’EMOCENSIONE | Canned Heat – Friends In The Can (2003)

11 Dic

Artista/Gruppo: Canned Heat
Titolo:  Friends In The Can
Anno: 2003
Etichetta: Fuel 2000

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Un mese dopo venne Londra. Era il 3 giugno 2003, i Canned Heat li conoscevo solo per On The Road Again e per quel suo feticcio falsetto da brividi. Avevo visto in VHS lo spezzatino Woodstock, mi ero fatto un’idea. Uscì Friends in the Can che non avevo nemmeno finito onorabilmente tutte le sessioni d’esame del primo anno accademico. Un miserabile 18 in archeologia romana elemosinato con la scusa del militare e del tempo perso. Un mese dopo, dicevo, venne Londra. Da giugno a luglio, ormoni stabili, la chitarra sempre in tasca. Avevo soltanto sfiorato un angolo di paradiso. La musica, della MUSICA, che ne sapevo ancora?

Uscì Friends in the Can e per chi ha amato i Canned Heat nel passato forse è suonato subito come la minestra riscaldata. Per me è arrivato in serie cronologicamente esatta. Prima sensazione con Same Old Game: Eric Clapton e l’operazione Me and Mr. Johnson. Non tanto per il sapore retrò ma per il fatto che si capiscwe subito: questi stanno suonando per proprio conto. Lo fanno per la passione di tornare in auge nel passato. E la cosa come ogni revival mi intriga. Vediamo. Archiviato James Shane ecco Bad Trouoble, stavolta porta la marca di Dallas Hodge. Non fate caso alla maglietta “Alaska” in copertina. Il barbuto e panciuto nuovo (si fa per dire) cantante degli Heat ci sa fare. Dietro la foggia dello slide di Roy Rodgers. Non i pantaloni, quelli li lasciamo agli 883. Qui c’è pura acoustic blues del Delta. Passo cadenzato, sovrinciso, elettrico, spiritato, si chiude nel più classico scivolo in Bb. Prima che delle ragazze ricordino al mondo che non si rischia, che ci si ficca in grossi guai, ecco il caffè scuro (Black Coffee) che piace ai Canned Heat, che li manda in estasi, li fa impazzire e fa impazzire anche noi. Scuro come il timbro di Dallas, che sembra ispirarsi a Anastacia. «Non voglio capuccino, non voglio espresso, non voglio any latte», conclude, che suona come un’accusa razzista verso il made in Italy, ma certo se è di sera è anche comprensibile.

L’uscita con Gateway, l’organo di Mike Finnegan e la scossa da bullo dell’emule di Stieve Ray, in arte Corey Stevens. Si torna al rock di buona maniera, galleggiando tra gli AC/DC e qualcosa di più americano. Gli stacchi, i 2/3 accordi che chiudono ogni strofa, alla Led Zeppelin, alla Def Leppard. Già, hanno deciso di fare come gli pare. Dal blues al jazz delle bing band fuso al vaudeville, a Clapton e SRV, a Tommy Dorsey e Sinatra. It Don’t Matter, già non importa: i Lemon Tree blues. L’armonica c’è. La chitarra c’è. La voce rauca da cantinaccia pure. Non importa, o potrebbe non importare. Ma sono i Canned? Guardo sulla copertina. Sì, ma che riflessività, che situazione.

Let’s Work Together. Ok, sono loro. Let’s Work Together, inconfondibile. E va bene anche che Dodge si sforzi sul gutturale trocloditico di Hite. Lo slide è lì che gira sulla sigletta che ha infervorato i bar di mezzi Seventies. C’è anche un blues sulla campana: 1, 2, 3 Here We Go Again. Dice: «Cantiamo proprio lo stesso vecchio blues». Passa anche al 4-5-6, è una ninna nanna, una filastrocca. E comunque cantano sempre lo stesso vecchio blues. È fatto apposta, è un testamento nel passato, un atto di fede alla propria storia, ma anche un appello in vista del prossimo tour: veniteci a trovare, come sapevamo fare vi faremo ballare. La metto in rima anch’io.

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EXTRA|The Jimi Hendrix Experience 1967. Nascita e ascesa di un fenomeno

27 Mar

I primi tre mesi del 1967 furono per Jimi Hendrix un periodo di lavoro estremo, il chitarrista che fino a quel periodo si era crogiolato tra il Greenwich Village, frequentazioni con amici “altolocati” o hippy e capelloni. Tutto quel lavoro stava ora per trasformarsi nell’alchimia più devastante della storia del rock e del blues.

Come un vulcano che per anni resta in silenzio fino al momento esatto della sua esplosione, già dall’anno precedente Hendrix si era dato da fare per svelare al mondo cosa fosse capace di creare la sua mente, ma in un modo o nell’altro si era sempre sentito rispondere: «sei forte ma non è questo che la gente vuole».

Da una delle tante conoscenze negli ambienti rock newyorkesi, Hendrix entrò nelle grazie di Linda Keith, meglio nota per essere stata all’epoca la fidanzata di Keith Richards. Purtroppo per Hendrix, il colloquio che questa gli procurò non sortì molto entusiasmo nel chitarrista degli Stones, anzi, entrambi restarono molto delusi l’uno dall’altro. Antipatia? Forse ma non credo che negli affari conti poi molto. Dunque, probabilmente invidia, o ancor più timore, non mancanza di lungimiranza. Perché Hendrix era già fortissimo, mentre un piccolo seme di timore di esser soppiantati all’improvviso serpeggiava tra i gruppi già affermati. Vedremo come cambierà il mondo del rock nell’arco di un solo anno: il 1967.

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Luis Russell – The Luis Russell Collection, 1926-1934 (1992)

21 Lug

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Una raccolta jazz senza rumori, pulita e asettica, senza grosse pretese nella selezione delle registrazioni. Solo qualità del suono. Questo l’intento della Storyville, che nel 1992 diede alla luce The Luis Russell Collection, 1926-1934: 24 brani, di cui uno solo inedito, di uno dei pianisti e bandleader più importanti del New Orleans Jazz.

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Adrian Belew – Belew Prints: The Acoustic Adrian Belew, Vol. 2 (1998)

12 Lug

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Se i Beatles non si fossero sciolti nel 1970… sarebbero pressappoco arrivati alle stesse conclusioni. Belew Prints: The Acoustic Adrian Belew Volume Two è l’undicesimo album del chitarrista e polistrumentista Adrian Belew, uscito nel 1998 e sequel di un Volume One pubblicato nel 1995. In questo secondo lavoro tutto chitarra, voce ed effetti, Belew rielabora precedenti lavori in chiave acustica e a differenza del predecessore Volume One ne espande la strumentazione: Belew suona anche basso, pianoforte, armonica, batteria e percussioni, oltre a dirigere un quartetto di archi nella prima traccia. Emerge un interesse profondo per le premesse poste dai Fab Four, quasi un epilogo immaginario dei satelliti che avrebbero potuto esplorare Lennon & Co. se non si fossero sciolti. E il parallelo funziona, soprattutto se si ascoltano vari lavori da solista di Paul McCartney. L’album contiene anche due brani dei King Crimson anni ’90 (Cage e Dinosaur), quelli su cui anche Belew può vantare crediti, e appunto una cover (Free As A Bird) dei Beatles. Onore anche al merito dell’ingegnere Ken Latchney, il cui ottimo lavoro in produzione rende il suono soffice e piacevole all’ascolto. Continua a leggere

The Kills – No Wow (2005)

24 Giu

The Kills - No Wow - Front

Non è facile suonare minimal (o come lo chiamano alcuni lo-fi vintage) quando nello stesso periodo spopolano gli White Stripes. Ahimé, quelli di po-popopopo-po. Complicato farlo passare come un tentativo di tornare alle origini, per alcuni addirittura al blues del delta. Inevitabile, per chiunque a cavallo del 2000 avesse provato a dissezionare il suono rendendolo quasi rumore in sottofondo della voce, cadere nel superficiale accostamento: The Kills= brutta copia degli White Stripes. Se poi si ricompone un duo, voce femminile (Alison “VV” Mosshart) e strumenti – ma anche voce, talvolta – maschili (Jamie Hince), insomma tutto riconduce lì. Ma non solo. Gli effetti, per i Kills, sono un po’ questi. Devastanti per la pubblicità e il botto che fecero, tanto come le ripercussioni su certe convenzioni una volta attaccato il play allo stereo. Una scialba copia dei migliori? Chissà, vanno ascoltati per poi dare un giudizio. Noi ve li proponiamo con No Wow, secondo lavoro del duo anglo-statunitense.

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Pentewater – Out Of The Abyss (1992)

9 Mag

Front

Nell’universo del prog rock di fine anni ’70 la prima cosa che balza all’orecchio è questa: i Pentwater avevano qualcosa da dire. E forse furono solo sfortunati. Nel raccogliere materiale sui Pentwater, mi ha colpito una considerazione di The Music Street Journal, che all’uscita del primo disco nel 1977 disse: «I Pentwater potrebbe essere la migliore band di rock progressive che mai avete sentito prima». Questa è la storia di un disco uscito… troppo tardi. Continua a leggere

Bob Marley & The Wailers – Kaya (1978)

22 Mar

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Nel 1976 Bob Marley si trasferì in Inghilterra, nel frattempo i Wailers erano cambiati radicalmente ma il cantante giamaicano mantenne la paternità del nome. A Londra nacquero due dischi, Exodus e Kaya. Oggi parliamo del secondo, quasi un appendice del più celebre Exodus. Rispetto agli album precedenti, in Kaya Marley abbandona il pessimismo dovuto in larga parte all’instabilità civile e politica della Giamaica (proseguiva infatti lo scontro politico tra i due leader rivali, Michael Manley ed Edward Seaga) e si punta tutto sulla felicità eterea che può regalare l’amore (Is This Love) o uno spinello fumato sdraiati su un divano. Già il titolo del disco (kaya è sinonimo di marijuana) indica la direzione intrapresa da Bob Marley. Tutto nelle più rigorose radici del reggae.

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Traffic – Shoot Out At The Fantasy Factory (1973)

17 Feb

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Avevo recensito diverso tempo fa Shoot Out At The Fantasy Factory, settimo album dei Traffic, parlandone in maniera alquanto negativa. A distanza di 6 mesi, devo dire che mi trovo costretto a rivedere quanto detto. L’evoluzione delle sensazioni di ascolto era uno degli obiettivi principali che si prefiggeva questo blog, tornare su dischi già affrontati evitando di lasciare una traccia incancellabile per l’eternità su ogni singolo disco. Ebbene, è la prima volta che accade e infatti il risultato della ripresa è quasi l’opposto di quello del primo tempo. Vediamo.

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Dream Theater – Images And Words (1992)

27 Gen

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Come ripartire dopo tre anni di concerti e nessun altro disco sulla schiena se non quello scomodo When Dream And Day Unite. Esonerato Dominici, acquistato dal Canada LaBrie, i Dream Theater nel 1992 scriveranno la storia del rock anni ’90, dando vita, con Images And Words, a un genere del tutto nuovo. Senza accorgersene, senza averne nemmeno percezione, con il loro secondo lavoro entrarono nella storia. Poi sarà tutta un’ascesa, che farà dei DT uno dei gruppi più seguiti dagli amanti del nuovo metal.

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