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COVERMANIA | Yellow Submarine

7 Gen

Ha battuto tutti i record di vendita in Gran Bretagna e nel resto del mondo, è stato il primo singolo ad uscire in formato 45 giri e ha dato il titolo a uno dei più celebri film animati musicali. Non c’è un angolo nel mondo che non conosca le note e le parole di Yellow Submarine, canzone cult degli anni ’60 firmata dai giovanissimi Beatles con la pubblicazione del loro secondo lp Revolver nel 1966.

La fama di questo brano (così come tutte le produzioni dei Beatles) è attestata anche dalle tante, tantissime cover che ne sono state riproposte nel corso degli anni e fin da subito. Girando per il web mi sono davvero divertito perché ce n’è per tutti i gusti, dalle cover fedeli all’originale a totali rivisitazioni nelle più disparate chiavi di lettura. A parte l’originale, ho scelto 4 cover che mi sembravano più interessanti per la diversità tra loro, ma non possono essere escluse altre versioni, da quella degli australiani Silverchair a quella di Nada, o la più comica di Milton Berle, o addirittura alla voce quasi lirica di Mrs. Elva Miller.

Si parte dall’interpretazione militar-ironica dei Leningrad Cowboys, una banda di scalmanati finlandesi con la fissa per le creste e per l’Unione Sovietica che vanno cantando in giro per il mondo vestiti da gerarchi dell’Armata Rossa…

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The Rolling Stones – Parachute Woman (1968)

4 Gen

In un album che fece la storia del rock blues, come Beggars Banquet, trovare un brano che resca a spiccare sugli altri è sempre impresa non da poco. Forse impossibile. Così mi sono buttato sulla vena più prettamente blues degli Stones, connettendo The Book of Saturday sulle frequenze del Rock’nRoll Circus (1968) regalandovi questa stupenda Parachute Woman dal vivo: 2’40” di assoluta trance alle dipendenze della voce e dell’armonica di Mick Jagger e dei riff di Keith Richards. Un banchetto propiziatorio, appunto. Lambiente saturo di blues, i ragazzi in poncho a dare tinta all’atmosfera, tutti coinvolti compresi gli addetti alle riprese…

Porcupine Tree – Feel So Low (2000)

31 Dic

Deviazioni musicali. Estrapolate un singolo brano da un disco, quello sbagliato, e vi accorgerete di quanta distanza c’è tra la band e quella singola canzone. Prendete Feel So Low, dal disco forse più pop dell’intera produzione dei Porcupine Tree, Lightbulb Sun. Brano lento, melodico, discorsivo, una ballata che a tratti (specie all’inizio con l’arpeggio di chitarra introduttivo) sfiora e assaggia l’Emo Pop alla Jimmy Eat World, per intenderci. Gran bella melodia, ma i veri Porcupine Tree – nonostante la loro vena sperimentale a tutto tondo – non sono questi. Questo per dire che chi sostiene che la band di Steven Wilson alla lunga rischia di risultare noiosa (soprattutto a chi pensa che i PT siano solo Stars Die o The Sky Moves Sideways), potrebbe avere anche buoni motivi. Io non condivido in modo assoluto, ma un filo di verità c’è.

Francesco Guccini – Canzone Dei Dodici Mesi (1982)

14 Dic

Avevo già segnalato un DVD di Lucio Dalla di un live alla RTSI, la televisione pubblica svizzera. Ed ecco un altro campione della musica cantautoriale italiana, ancora alla RTSI: Francesco Guccini e la sua immensa Canzone dei Dodici Mesi e i suoi significati simbolici per ogni mese dell’anno. Nel brano si distinguono diversi interpreti, session man, e artisti che hanno messo lo zampino in molti dei dischi che hanno fatto la storia della musica italiana negli anni ’70, come Vince Tempera e Gigi Rizzi.

La Canzone dei Dodici Mesi è contenuta nell’album forse più bello dell’intera carriera di Guccini, Radici. Cosa dire del brano? Dipende dai gusti, per qualcuno Guccini resta troppo prolisso, per altri i suoi monologhi sono campioni di poesia pura. Ascoltate frasi del tipo «non so se tutti hanno capito, ottobre la tua grande bellezza: nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza… Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze, lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse…».

Nessuno ha mai onorato così tanto il mese in cui sono nato…

Canned Heat – Gorgo Boogie (1998)

2 Dic

Gorgo Boogie, ultima traccia del disco Canned Heat Blues Band pubblicato nel 1998. Fedele alla sua tradizione originaria, tanto che il band leader e fondatore del gruppo, Bob Hite ebbe a dire in più di una occasione che i Canned Heat sono stati «la prima e la più grande boogie band di sempre». Se abbia volato troppo alto non lo so, dipende dai gusti e dalle conoscenze specifiche. Effettivamente però il boogie entra a pieno titolo nel dna dei Canned Heat fin dalla loro antica nascita. Una delle band più longeve di sempre assieme ai Rolling Stones, gli Hawkwind, e pochi altri. In Gorgo Boogie non c’è più Hite dopo il divorzio con la band. Si tratta di un arrangiamento semplice, che permea nel profondo la chitarra di Vestine. Sembra una classica ballata blues della Louisiana. Inimitabili.

Elvis Presley – Who Am I? (1967)

11 Nov

Una delle tante doti di Elvis Presley era l’interpretazione. The King ha spaziato nei più svariati generi, dagli anni ’50 fino alla sua prematura scomparsa, nel 1977. Negli ultimi anni di vita (anche artistica) Elvis si è cimentato soprattutto a reinterpretare musiche da ogni parte del mondo, dal folk britannico alla lirica italiana (O Sole Mio, per esempio…). C’è anche un importante filone spiritual, che nel 1971 portò la RCA a pubblicare un album di soli brani gospel di Elvis dal titolo di una delle sue più famose cover: You’ll Never Walk Alone. In questo disco è contenuto anche il brano pubblicato sopra: Who Am I?. Un brano molto raro, che nel 2008 venne inserito nella reissue del disco How Great Thou Art, la cui pubblicazione originale risale al 1967.

Franz Ferdinand – Fabulously Lazy (2005)

8 Nov

In questo spazio non abbiamo mai parlato dei Franz Ferdinand, e me ne sono accorto solo ora. Ecco perché stamattina, per augurarvi una mattinata di  “favoloso cazzeggio”, vi dedico l’ultima traccia di You Could Have It So Much Better: Fabulously Lazy, appunto. Certamente non è il migliore esempio per spiegare il successo della band scozzese di Alex Kapranos, ma certamente una pillola di quello che forse è il suo miglior album. Non si tratta certo di una band molto produttiva, visto che il terzo disco è stato pubblicato 4 anni dopo e adesso sono ormai fermi da altri tre anni. Questo è uscito l’anno successivo al  disco d’esordio nel periodo forse più prolifico dal punto di vista dell’ispirazione. Buon ascolto, e soprattutto buon cazzeggio…

Canned Heat – Don’t Deceive Me (1973)

5 Nov

Country miscelato a blues e r&b. Canned Heat, anno 1973: disco The New Age, nona fatica della band californiana, il primo lavoro nel quale figurano James Shane ed Ed Beyer. Brano semplice, intuitivo, collettivo come lo stesso progetto Canned Heat. La ripetitività fa da dominante, con il titolo della traccia che si ripropone come intro, ritornello e chiusura. Nel bel mezzo i ricami di chitarra di Henry Vestine. Questa è Don’t Deceive Me. Buon ascolto

Vic Dickenson – Sir Charles At Home (1953)

6 Ago

Artista cresciuto all’ombra di grandi dello swing come Sidney Bechet, Earl Hines e Count Basie, Vic Dickenson negli anni 50′ si affrancò con una sua band, anche se il suo nome resterà sempre ai margini del grande jazz. Il suo swing però dimostra di godere di una freschezza come pochi eguali nella storie e nell’evoluzione del jazz. Questa è Sir Charles at Home, registrata nel 1953 a New York. In onore del pianista Sir Charles Thompson, grazie alla cui presenza parliamo di Vic Dickenson Sepstet. Chiaro che l’influenza newyorkese conferisce ai fiati una certa predominanza, ma rispetto ad altre “big band” (l’eufemismo è d’obbligo) stavolta gli strumenti rispettano volutamente un loro ruolo. Così Sir Charles diventa l’occasione di 4 minuti di assoli in serie. Parte Thompson al piano, poi entra in gioco il clarinetto di Edmond Hall, poi Rudy Braff alla tromba, poi il trombone di Dickenson, poi chiude Thompson. Peccato il video sfalsato rispetto all’audio…

Stan Getz & The Oscar Peterson Trio – Ballad Medley (1957)

3 Ago

Medley comprendente Bewitched, I Don’t Know Why, How Long Has This, I Can’t Get Started, Polka Dots And Moonbeams. Un quartetto d’eccezione: il sassofono di Stan Getz e la classe cristallina dell’Oscar Peterson Trio, formato dall’immancabile pianoforte di Oscar Peterson, da Rey Brown al basso e Herb Ellis alla chitarra.

Senza la batteria, il suono del sassofono di Getz può esplodere tutta la sua maestosità, come gli altri strumenti trascendere sul piedistallo degli assoli. Ogni momento è un assieme. Da gustare in tranquillità, possibilmente di sera, rilassati e con un bicchiere di Cognac alla mano.