King Crimson – In The Court Of The Crimson King (1969)

4 Mag

Artista/Gruppo: King Crimson
Titolo: In The Court Of The Crimson King
Anno: 1969
Etichetta: Atlantic

Diversi anni fa, agli albori della mia maturazione musicale, quando ancora davanti a me dovevano iniziare a brillare tutte le gemme della storia della Musica e quando il Progressive-Rock era ancora distante dalle mie concezioni di espressione artistica, mi trovai un pomeriggio di fronte ad una copertina di un album che distintamente da tutte le altre che la contornavano, sembrò voler a tutti i costi richiamare la attenzione su di se, sembrò voler anche per un solo secondo che tutto si fermasse per dire ciò che aveva dentro…chissà se quel giorno, all’interno di quella bocca spalancata che sembra voler descrivere al suo interno uno spazio infinito, fu possibile intravedere una prefazione di come il mio approccio all’ascolto sarebbe cambiato di li a poco; chissà se guardando ancora più a fondo quello sguardo non sarebbe stato possibile veder scorrere il film di tutte le mie esperienze musicali future.

E’ l’urlo del Progressive-Rock che dopo aver atteso, essersi formato, aver vissuto ed aver studiato a fondo le sue fonti di ispirazioni nascoste nei meandri della Musica Classica, del Jazz e del Rock, decide di venire fuori in maniera roboante per dare una collocazione perfetta a tutte le doti artistiche più complesse che l’uomo può fondere nel concetto di Musica, e per dare la possibilità alle menti pronte ad intraprendere un viaggio completamente diverso da quelli conosciuti fino ad allora, di riuscire a trovare qualcosa che riesca nel miglior modo possibile ad esprimere sentimenti e sensazioni in modo viscerale, complesso, completo.
La magia di questo album può anche essere letta in questo modo, dal riuscire a trasmettere a distanza un messaggio silenzioso ed impercettibile ma allo stesso tempo deciso ed inappellabile, a coloro i quali sono pronti per compiere questo passo, grazie a quella mostruosa copertina tanto disprezzata da chi vuole qualcosa di più convenzionale ed estetico, quanto entusiasmante ed ipnotizzante per chi invece riesce a leggervi impressa la propria natura.

Uno di quegli album, o probabilmente l’album per eccellenza, che non si può prendere e mettere nel lettore così senza pensare, come un gesto involontario…c’è sempre un motivo ben ponderato per decidere di scegliere In the Court of the Crimson King, spesso c’è dietro una vera e propria esigenza; a dirla tutta il più delle volte è lui stesso che decide di farsi vivo per voler dire qualcosa, e rende impossibile qualsiasi altra scelta…un po’ come accaduto per questa recensione.
Un album complesso fino al limite di ciò che può essere concepito da menti umane, che non finirà mai di svelare ad ogni ascolto qualcosa di nuovo che serbava ancora nascosto tra i suoi innumerevoli percorsi e che mai smetterà di attirare a sé una ricercata cerchia di appassionati.

Ed in questa maestosa complessità si rispecchia a fondo il brano d’apertura 21st Century Schizoid Man, caratterizzato dalla voce distorta di Greg Lake; in questo brano brilla tutto il genio di Michael Giles in quella che ritengo, senza timore di dovermi ricredere, una delle più belle e complete esecuzioni di batteria dell’intera storia della Musica; la continua e frenetica alternanza tra il rincorrersi su universi completamente opposti, l’accompagnarsi su ogni singolo cambio di ritmo, il fluire l’uno nel idea intrapresa dall’altro, da parte del sax di Ian McDonald e della chitarra visionaria di Robert Fripp fanno da contraltare all’opera interminabile del basso di Gregg Lake, e proiettano nella mente di chi ascolta un numero spropositato di immagini e messaggi a cui, in alcuni frangenti, è impossibile tenere il passo con un singolo ascolto.

A conclusione di tutto arriva, come prologo di un brano unico ed irripetibile nel corso dei secoli, un’interminabile vortice creato dai musicisti nel quale ogni cosa viene risucchiata per poi riuscire in un mondo completamente diverso descritto dalle note di I Talk To The Wind…il passaggio tra le due tracce riesce ad essere talmente contrastante nell’apparenza da risultare perfetto nella sostanza.
E qui il canto dolce e ammaliatore di Gregg Lake si libera degli effetti graffianti della prima traccia, per deliziare l’udito sui poetici versi di Peter Sinfield (probabilmente il vero ispiratore di questa prima produzione dei Re Cremisi), accompagnato dal flauto di Ian McDonald, capace di due intensi assoli di stampo classico al centro e nella coda del brano.

Di capolavoro in capolavoro, una rullata di Michael Giles termina gli ultimi istanti di I Talk To The Wind ed introduce la prosecuzione del viaggio nella epica Epitaph…e qui sono le corde più interne a vibrare intensamente, le emozioni più profonde ad essere toccate, sfiorate, fatte soffrire; un brano che, dalla prima all’ultima nota, risuona dal centro delle emozioni umane, e vi rimane con la chiara intenzione di viverle e stimolarle a fondo ad una ad una.
Basso, batteria e chitarra, un tocco per ciascuno, un nota di basso, un colpo di batteria ed un accordo di chitarra acustica, lenti e ripetuti, ad accompagnare e sostenere, nel corpo centrale del brano, la struggente melodia in evidenza dipinta dal mellotron…idee e concezioni musicali, per quanto mi riguarda, difficilmente riscontrabili in qualsiasi altra opera.
But I fear tomorrow I’ll be crying“…e torna attuale e minaccioso il viso mostruoso, che getta impaurito il suo sguardo sul mondo esterno e verso il futuro prossimo.

La visione sembra variare completamente e raggiungere un livello minimalista, austero…tutto è ovattato e si ha la sensazione tattile di camminare, pesando ogni movimento ed ogni decisione, in un paesaggio lunare surrealistico…è ciò che descrive Moonchild dapprima nella sua breve introduzione “sognante” ed in seguito nella sua articolata e sperimentale “illusione”; in questo brano la genialità avanguardista e difficilmente comprensibile ai più dei componenti della band, viene fuori in maniera evidente tramite un compendio di sperimentazioni e di improvvisazioni che possono essere udite ed apprezzate a fondo solo nell’istante in cui gli viene dedicata la totalità delle attenzioni.

Ed infine si arriva al momento in cui i Re Cremisi schiudono definitivamente al mondo esterno, e nella maniera più altisonante che possa essere concepita, le porte del loro regno…In The Court Of The Crimson King rappresenta uno di quei punti di non ritorno che i grandissimi artisti sanno porre all’interno della storia della Musica, una sorta di confine che una volta varcato non permette più di tornare indietro e che inesorabilmente condiziona tutto ciò che gli ruota intorno.
Il brano è un punto esclamativo su quanto affermato fino a quel punto nell’album, che dissipa con la sua potenza e la sua pienezza ogni tentativo di trovare lacune ad un opera assoluta, tanto variegata e minuziosa al punto da poter essere presa come una guida per tutto ciò che calcherà il proscenio del Progressive Rock, e non solo, di lì in avanti.

Anche se non può essere considerato in termini temporali il primo lavoro della storia del Progressive-Rock, ruolo attribuibile maggiormente alle prime incisioni di gruppi come i Moody Blues o i Procol Harum, In the Court of the Crimson King rappresenta senza dubbio il vero e proprio battesimo del fuoco per questo genere…un esame che non si può sminuire ad un mero risultato finale, dal momento che i King Crimson ed il genio creativo di Robert Fripp, vanno oltre ogni idea conosciuta fino ad allora e riescono a creare un capolavoro senza tempo, che resterà attuale e, secondo me, inarrivabile per chissà quante altre generazioni a venire.

Ora a molti anni di distanza da quell’incontro, non posso fare altro che ripensare allo sguardo buttato in modo involontario su quella forma mostruosa, che sembra uscire dal centro degli inferi della sua sofferenza per farti capire che esiste sempre un altro modo di intendere qualsiasi cosa, e riavvolgere il nastro che passo dopo passo mi ha portato a stravolgere il mio modo di approcciare la Musica, e non solo…non poco per qualcosa che molti osano definire “solo un album”…

Buon ascolto a tutti!!

Voto: 9.5/10

Tracks List:

1 – 21st CENTURY SCHIZOID MAN including MIRRORS (7:20)
2 – I TALK TO THE WIND (6:05)
3 – EPITAPH including MARCH FOR NO REASON and TOMORROW AND TOMORROW (8:47)
4 – MOONCHILD including THE DREAM and THE ILLUSION (12:11)
5 – THE COURT OF THE CRIMSON KING including THE RETURN OF THE FIRE WITCH and THE DANCE OF THE PUPPETS (9:22)

Line-Up:

Robert Fripp – chitarra elettrica, chitarra acustica
Greg Lake – basso, voce
Ian McDonald – flauto, clarinetto, tastiere, mellotron, sassofono, vibrafono, voce
Michael Giles – batteria, percussioni, voce
Peter Sinfield – le parole e l’illuminazione

Copertina di: Barry Godber

3 Risposte to “King Crimson – In The Court Of The Crimson King (1969)”

  1. Sidistef Maggio 4, 2010 a 6:23 PM #

    Della copertina andrebbe orgoglioso anche Van Gogh. Si percepisce un non so che di sacrale attorno a quest’opera, un gesto inconsulto, incontrollabilmente piacevole, salvifico, l’ergersi a divinità protrettrice della buona arte. Un grande merito per questo gruppo esserci riuscito. Mi piacerebbe tanto fare l’avvocato del diavolo verso un genere, il progressive, che spesso prende delle derive spigolose e contorte, che a volte un pò (ma solo un pò) mi irrita, quando si guarda allo specchio e si piace a tal punto da snobbare tutto il resto della “cianfrusaglia” musicale. Ho cercato da tempo di trovare qualcosa di sbagliato, un’impercettibile macchia, quel barocchismo di maniera proprio di chi fa questo genere di musica, ma in questo disco, sforzandomi di reperirli non li ho mai trovati. Quando tutto il mondo invecchia, In the court of the Crimson King resta lì, ineccepibile, fiero, coerente. Per il resto, sì, è “solo un album”…

    Un saluto e complimenti per la recensione, sentita ed emozionata.

  2. Ares79 Maggio 6, 2010 a 5:30 PM #

    Questo e’ uno di quei dischi che cambiano la vita, la percezione della realta’. Ottima recensione, grazie.

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